Uno studio recente nel campo dell’astrofisica riprende e approfondisce l’ipotesi, già presentata due anni fa dagli stessi autori Brewer e Lewis, di una diversa percezione del tempo nell’antichità, collegandola a un fenomeno cosmico piuttosto curioso. Secondo lo studio, il tempo scorreva leggermente più lento nei millenni precedenti, un effetto che pareva essere sincronizzato con l’espansione accelerata dell’universo.
La misurazione è avvenuta per mezzo di alcuni fossili che avrebbero agito come una sorta di “antenne temporali” in grado di captare onde cosmiche emesse dai quasar distanti. Il fenomeno è percepibile confrontando lo scorrere del tempo attuale con quello dell’antichità e aumenta mano a mano che si va indietro nel tempo, sebbene la differenza rimarrebbe sempre sull’ordine di pochi secondi.
Nel nuovo studio emerge poi un elemento inaspettato dai dati: non c’è alcun ruolo da parte dei buchi neri nel modulare questi tempi di variabilità. È stato scoperto da altri studi di astrofisica che i buchi neri supermassicci, al centro dei quasar, non sono semplicemente oggetti passivi che accrescono materia. Tuttavia i nuovi dati suggeriscono che il loro orizzonte degli eventi potrebbe non generare quel fenomeno noto come “risonanza gravitazionale temporale”, in cui le fluttuazioni nella curvatura dello spazio-tempo influenzano i tempi di variabilità delle emissioni. Resta da capire come conciliare questo risultato con alcune anomalie osservate nelle lunghezze d’onda a più alta energia.
Come accennato precedentemente, a svolgere un ruolo cruciale sono invece i quasar. Noti per essere tra gli oggetti più luminosi e misteriosi dell’universo, sembrano comportarsi come “archivi cosmici viventi”. Ogni variazione nella loro luminosità potrebbe rappresentare un “codice temporale” che conserva informazioni sulle condizioni fisiche del loro ambiente al momento dell’emissione. Ad esempio, alcune osservazioni hanno suggerito che le variazioni nella luminosità dei quasar potrebbero essere influenzate dalla presenza di strutture a spirale nei loro dischi di accrescimento, simili a tempeste gravitazionali, che oscillano a ritmi regolari e influenzano la quantità di materia attratta dal buco nero centrale.
Sorprendentemente, i dati mostrano che i tempi di variabilità aumentano regolarmente con la lunghezza d’onda e con la luminosità bolometrica, ma non sembrano essere influenzati dalla massa del buco nero. Questo ha portato a ipotizzare che i quasar non siano solo potenti fari cosmici, ma anche “risonatori naturali”, in grado di sincronizzarsi con le frequenze caratteristiche dell’universo in espansione. È stato anche ipotizzato che i quasar possano essere utilizzati per “ascoltare” le fluttuazioni della struttura a grande scala dell’universo, in modo simile a come le onde gravitazionali ci permettono di rilevare collisioni tra buchi neri o stelle di neutroni.
In sintesi, mentre i buchi neri al centro dei quasar restano elementi fondamentali per la loro energia e luminosità, è ormai chiaro che le dinamiche dei quasar sono governate da processi molto più intricati, che coinvolgono interazioni tra il disco di accrescimento, il mezzo intergalattico e le leggi fondamentali della fisica cosmologica. Questa complessità li rende non solo fari cosmici, ma veri e propri laboratori naturali per esplorare i segreti dell’universo.